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Yapa

Yapa, in lingua quechua (una delle lingue native del Sud America), suona come "qualcosa in più". Questo è il nome del ristorante che ha aperto in zona Porta Romana con l'idea di accompagnare il cliente in un viaggio.


Varcare la soglia di Yapa, oltrepassare anche fisicamente la tenda nera all'ingresso, significa entrare in uno spazio primordiale, essenziale, forse una caverna, con un lungo e imponente bancone-cucina dove accomodarsi e osservare la brigata di soli uomini all'opera, in una cornice di piante a foglia larga dal sapore amazzonico. Il tutto trasuda di essenzialità, materia, fuoco e fiamme e anche un certo brutalismo. La luce è calcolata per svelare qualcosa ma non troppo, l'atmosfera è molto più che soffusa, la musica è alta ed esclusiva tanto che non sembra affatto di essere né a Milano, né in Italia - il che mi fa domandare se davvero questa città è pronta per un locale di questo tipo, tra il club esclusivo di New York e il ristorante stellato.


Matteo Pancetti è lo chef: origini toscane e un'esperienza pluriennale costruite nelle cucine estere anche a fianco di Sergi Arola (a sua volta allievo di Ferran Adrià e Pierre Gagnaire). La sua idea di cucina è come un tableau vivant di persone, sensazioni e paesaggi, quelli da lui sperimentati in prima persona tra Sud America e Asia, senza ovviamente tralasciare le profonde influenze italiane dove la materia prima viene valorizzata al massimo.


La sala è gestita dal gentilissimo e professionale Alfonso Bonvini (già maitre di Tokuyoshi e Serica), lo staff è attento e premuroso, sebbene a tratti un po' insistente per spingere all'ordinazione di più piatti - specialmente i fuori menù.

La carta è suddivisa per tipologie, vero e proprio excursus delle differenti tecniche di cucina: dalla robatayaki (stile di cottura giapponese simile al bbq che prevede la cottura degli alimenti davanti al cliente) alla panificazione, passando per la frittura in wok e il boucher (una selezione di tagli di pesce o carne secondo disponibilità del mercato, a cui si possono abbinare contorni di verdura). Altrettanto immervisa è la drink list, ideata da Matias Sarli: cocktail sartoriali perfetti da abbinare ai vari piatti - anche in questo caso lo staff spinge affinché ne ordiniate svariati. Tra i più interessanti vi indico Negroni Nuts (con nocciole caramellate), Americano Kimchi e Bloody Yapa Mary. In alternativa, vini naturali o saké.

Essendo questa esperienza un viaggio, l'invito è quello di ordinare quante più portate possibili a scaglioni per poterle condividere: le porzioni sono decisamente esigue (se siete più di due persone e volete mangiare oltre un paio di bocconi dovrete per forza ordinare almeno due volte lo stesso piatto), al limite del mero assaggio, il che rende il tutto da una parte problematico, dall'altra però permette di provare quasi tutto il menù.


Ma cosa ho mangiato da Yapa? Come amouse bouche è stato servito un piccolo bao divertente (dalla forma sembra quasi una caciotta) da intingere in una salsa dolce che ricorda la hoisin. Poi, tra i piatti ordinati e che più mi hanno entusiasmata, il grandioso Ceviche Yapa (pesce, leche de tigre, patata dolce, mais cancha, coriandolo), il sublime Anticucho de Pulpo (avocado, salsa aji panca) il cui aroma affumicato mi ha stregata e i Chicharrones de Pulpo e carciofi (una tempura accompagnata da maionese al wasabi, kimchi, lime kaffir). Il pesce è freschissimo, delizioso e il polpo è cotto alla perfezione.

Molto sfiziosi i Nigiri del Chianti (Rubia Gallega, salsa teriyaki, sesamo) anche se la consistenza del riso a mio avviso era troppo al dente, così come anche la Ceasar di Gamberi Rossi con maionese al kimchi e sesamo (il tutto spolverato con riso soffiato che, personalmente, avrei evitato) e il Tamagoyapa, una sorta di via di mezza tra un tamagoyaki e un okonomiyaki dalla consistenza fondente e condito con katsuobshi, cime di rapa e salsa sriracha. Mi hanno convinta un po' meno il Baozi alla porchetta (la carne sembrava "trattata" come un char siu e quindi risultava troppo dolce e poco saporita, mentre il pane al vapore era molto buono) e il Riso Thai / Mediterraneo (pesce, verdure, bottarga, galanga), dove non ho riscontrato i sapori decisi della cucina tailandese come per esempio il coriandolo o il lemongrass. Peccato, perché entrambi hanno alla base un forte potenziale!

I dolci, infine, sono forse il vero shock culturale per la clientela italiana, probabilmente abituata a una carica zuccherina importante e non a delle ricette così concettuali, di ricerca o semplicemente "non dolci": l'Amazzonico (cremoso al cioccolato, zucca Mantovana, cocco, nocciola) e Profumo di terra (barbabietola, gelato di latte di capra, pino mugo) sono sicuramente i più ancestrali e per questo, a mio avviso, imperdibili. Delizia al limone (limone, meringa, biscotto morbido) risulta essere invece la comfort zone per chi non vuole osare.


Cenare qui è sicuramente un'esperienza singolare, perfetta sia per piccoli gruppi di amici che per le coppie. I piatti proposti sono pensati, strutturati ma, ahimé, "striminziti", molto più perché il conto finale è decisamente esoso. Yapa non ha aperto da molto, dunque sono speranzosa in qualche ritocco mirato per rendere questo ristorante una vera e propria perla. Lo consiglio dunque per una cena importante, per un anniversario o una ricorrenza.


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Yapa | © Cookingwiththehamster

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Yapa | © Cookingwiththehamster

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Martini Cocktail - Bloody Yapa Mary | © Cookingwiththehamster

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Amouse bouche | © Cookingwiththehamster

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Ceviche Yapa | © Cookingwiththehamster

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Anticucho de pulpo | © Cookingwiththehamster

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Chicarrones de pulpo e carciofi | © Cookingwiththehamster

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Nigiri del Chianti | © Cookingwiththehamster

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Caesar di gamberi rossi | © Cookingwiththehamster

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Tamagoyapa | © Cookingwiththehamster

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Baozi alla porchetta | © Cookingwiththehamster

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Riso Thai / Mediterraneo | © Cookingwiththehamster

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Amazzonico | © Cookingwiththehamster

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Profumo di terra | © Cookingwiththehamster

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Delizia al limone | © Cookingwiththehamster

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Tartufini | © Cookingwiththehamster


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